SUL DIRITTO AL COLLOQUIO DEL DETENUTO CON IL FIGLIO NEONATO. CASS. N. 12222/2024

A CURA DELL'AVV.LAURA BUZZERIO
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INDICE
1) INTRODUZIONE;
2) LA VICENDA PROCESSUALE;
3) LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE.-
*****
Hai fretta? Andiamo dritti al sodo
1️⃣ 👶 Un neonato non deve parlare per vedere suo padre detenuto.
La Cassazione ha affermato che il diritto al colloquio non può essere negato ai figli solo perché troppo piccoli per comunicare verbalmente.
2️⃣ ⚖️ Il G.i.p. ha sbagliato a interpretare il "colloquio" come solo verbale.
La relazione affettiva passa anche dal contatto fisico e dalla presenza, soprattutto nella delicata fase della prima infanzia.
3️⃣ ❤️ La Suprema Corte riafferma il valore umano del diritto penitenziario.
Il legame genitore-figlio è un diritto da tutelare, anche (e soprattutto) nel contesto della detenzione.
1. INTRODUZIONE
Si può negare ad un neonato il diritto di vedere suo padre detenuto? Si può negare a un padre detenuto il diritto di vedere sua figlia, solo perché la piccola ha pochi mesi e «non è in grado di sostenere un colloquio»?
Domande che suonano grottesche, eppure sono finite sul tavolo della Cassazione penale.- E il 13 dicembre 2024 (sentenza n. 12222), la Suprema Corte ha detto l'ovvio: un figlio non deve saper parlare per poter stare con il genitore, seppure detenuto.-
Una vicenda che ci porta dritti al cuore dell'umanità del diritto penitenziario-.
2. LA VICENDA PROCESSUALE
Il G.i.p. del Tribunale di Marsala aveva rigettato l'istanza di un detenuto che chiedeva di poter vedere la propria figlia, nata da pochi mesi. La motivazione? La bambina sarebbe stata «troppo piccola» e «non in condizione di partecipare al colloquio».-
Un'interpretazione rigida e disumana dell'art. 37, comma 9, del D.P.R. n. 230/2000, che – al contrario – agevola espressamente i colloqui con figli minori di dieci anni, proprio per salvaguardare i legami familiari durante la detenzione.-
Contro questa decisione, il detenuto proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo la violazione della norma e l'illegittima compressione del proprio diritto al rapporto affettivo con la figlia.-
3. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con una motivazione che coniuga rigore giuridico e attenzione alla dimensione affettiva e rieducativa della pena.-
Secondo i giudici di legittimità, l'errore del G.i.p. risiede nell'aver attribuito al termine "colloquio" un significato troppo riduttivo, identificandolo esclusivamente con la comunicazione verbale. Ma nel contesto penitenziario – e soprattutto nei rapporti tra un padre detenuto ed un figlio piccolo – il colloquio assume un significato ben più ampio: non è solo scambio di parole, ma occasione di contatto emotivo, vicinanza fisica, espressione non verbale dell'affetto.-
Non si può, quindi, subordinare il diritto al colloquio alla capacità del minore di comprendere o interagire verbalmente: si rischierebbe di escludere dalla relazione affettiva proprio i figli più fragili, come i neonati, negando al detenuto ogni contatto con loro nella fase più delicata della crescita.-
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