SFOGO SUI SOCIAL, LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO SE GIUSTIFICATO DA UN FORTE STATO EMOTIVO. CASS. 26446/2024

A CURA DELL'AVV.LAURA BUZZERIO
TAGS: LICENZIAMENTO - GIUSTA CAUSA - SOCIAL NETWORK - CASSAZIONE - REAZIONE EMOTIVA - CASS. N. 26446/024
INDICE
1) INTRODUZIONE;
2) LA VICENDA;
3) LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE.-
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[1] INTRODUZIONE
Con l'ordinanza n. 26446/2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che un licenziamento per giusta causa è da considerarsi illegittimo se le dichiarazioni offensive di una dipendente sui social sono conseguenza di un forte stato emotivo, scatenato da un comportamento ingiusto del datore di lavoro.-
[2] LA VICENDA
Il caso riguardava una lavoratrice che era stata licenziata dopo aver pubblicato su un social commenti critici e diffamatori nei confronti della propria azienda e dei suoi vertici. Le sue parole erano scaturite da un evento traumatico: suo marito, anch'egli dipendente dell'azienda, si era infortunato gravemente a seguito di una fuoriuscita di sostanze tossiche nei locali aziendali.-
La Corte d'Appello di Firenze aveva annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione della dipendente. Secondo i giudici, il comportamento della lavoratrice era giustificabile come una reazione emotiva immediata ad un "fatto ingiusto", riconducibile alla società, e dunque non così grave da giustificare la cessazione del rapporto di lavoro.-
[3] LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Secondo la Cassazione, sulla scia di quanto deciso dalla Corte di Appello, l'episodio si configurava come uno sfogo emotivo eccezionale, strettamente legato al contesto di un evento traumatico e non come una condotta intenzionalmente lesiva, in quanto era stata accertata:
- L'assenza di dolo: Lo stato di ira della lavoratrice era determinato da un fatto grave e ingiusto, ossia l'infortunio del marito, e non da un'intenzione deliberata di danneggiare l'azienda.
- La mancanza di proporzionalità del licenziamento: Le frasi incriminate, pur potendo avere rilevanza disciplinare, non erano così gravi da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro.-
Di conseguenza, il licenziamento era da considerarsi illegittimo.-
Hai fretta? Andiamo dritti al sodo:
1) Con l'ordinanza n. 26446/2024, la Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa di una dipendente che aveva pubblicato commenti offensivi sui social in un contesto di forte stress emotivo.
2) Il caso: La lavoratrice era stata licenziata dopo aver criticato l'azienda sui social a seguito di un grave infortunio del marito, anch'egli dipendente, causato dalla fuoriuscita di sostanze tossiche nei locali aziendali
3) Motivazioni : La Suprema Corte ha confermato l'assenza di dolo nella condotta della lavoratrice e la sproporzione della sanzione, poiché il rapporto di fiducia con l'azienda non era irrimediabilmente compromesso.
4) Esito finale: Il licenziamento è stato dichiarato illegittimo, confermando la reintegrazione della lavoratrice in azienda.
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IL FATTO
Che valore può avere la condotta riparatoria di un dipendente che, dopo aver scritto, sulla propria bacheca social, visibile ed accessibile a tutti, un post evidentemente offensivo nei confronti del proprio datore di lavoro, lo cancella (quasi) immediatamente?
Nel presente articolo viene trattata la questione della legittimità, o meno, di un licenziamento intimato ad un lavoratore, a seguito di un post pubblicato, dallo stesso, su un social, a mezzo del quale aveva denunciato la mancanza di dispositivi di protezione individuali. Diritto di critica o diffamazione? E se a farlo è il lavoratore/sindacalista? https://www.ilperiscopiodeldiritto.it/l/e%E2%80%99-licenziabile-il-lavoratore-che-denuncia-sui-social-la-mancanza-di-dpi-aziendali/
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Nessuna sospensione dal servizio per l'Agente di Polizia di Stato per la pubblicazione di un video ludico su tik tok nel quale indossa la divisa. https://www.ilperiscopiodeldiritto.it/l/un-video-ludico-su-tik-tok-non-giustifica-la-sospensione-dal-servizio-commento-al-tar-campania-sentenza-n-412-2021/
Con un ricorso ex art. 700 c.p.c., un Sindaco, in carica, e l'Amministratore unico e legale rappresentante della Municipalizzata, operante nel servizio pubblico di gestione dei rifiuti, adivano la Magistratura civile di Trani, per ottenere l'ordine di rimozione di alcuni messaggi diffamatori ad essi rivolti, pubblicati da un dipendente della suddetta società, su un gruppo, in un noto social, aperto al pubblico- Nel caso in esame, veniva accolta l'istanza cautelare ex art. 700 c.p.c. sul presupposto che i messaggi condivisi sulla piattaforma social non fossero espressione legittima di un dissenso o di un'opposizione politica ragionata sostanziandosi, piuttosto, in commenti sarcastici e rancorosi diretti a suscitare la sensazione di indegnità personale dei soggetti, a cui si riferiscono. Da segnalare che, nel caso di specie, il Giudice faceva ricorso anche all'istituto della coercizione indiretta ex art. 614 bis cpc.-
La questione è ampiamente nota: un dipendente delle Acciaierie D'Italia s.p.a. (già Arcelor Mittal Italia spa, ma soprattutto già Ilva spa) di Taranto veniva licenziato per aver diffuso su un social uno screenshoot, con il quale invitava a guardare una serie Tv, nella quale veniva raccontata la storia di una bambina in coma per l'inquinamento causato da una fabbrica. Il Tribunale jonico durante la fase sommaria, prima, ed in sede di opposizione, poi, dichiarava illegittimo il licenziamento "per insussistenza del fatto contestato". Nell'articolo si affrontano, anche, le conseguenze, sul rapporto di lavoro, dei post denigratori (o tali qualificati) pubblicati sui social. https://www.ilperiscopiodeldiritto.it/l/se-nel-post-offensivo-non-e-possibile-identificare-l-attuale-datore-di-lavoro-il-conseguente-licenziamento-e-illegittimo-commento-alla-sentenza-cristello-del-tribunale-di-taranto/
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