LE IENE NON SONO UNA TESTATA GIORNALISTICA E CON I LORO SERVIZI HANNO DIFFAMATO IL PROF. BURIONI COMMENTO ALLA SENTENZE N.N. 20644 E 20645/2021 DELLA CASSAZIONE PENALE

16.11.2021

 A cura dell'Avv. MicheleAlfredo Chiariello

TAGS: DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA - TESTATA GIORNALISTICA - NON ESIMENTE

INDICE

1) IL FATTO;

2) I MOTIVI DEL RICORSO;

3) IL PERCORSO MOTIVAZIONALE DELLA CASSAZIONE;

4) CONCLUSIONI.-

[1]

IL FATTO

La questione attiene il contenzioso, prima televisivo poi giudiziario, tra il Virologo Prof. Roberto Burioni e l'emittente televisiva Mediaset, in virtù di un servizio giornalistico della trasmissione "Le iene", pubblicato dal sito internet della testata stessa.-

Il divulgatore scientifico - accusato di avere un interesse personale ed economico in relazione alla diffusione della cura per anticorpi monoclonali nelle terapie contro il Covid-19, in quanto azionista e componente di una importante casa farmaceutica - sentendosi diffamato, chiedeva il sequestro dei servizi, pubblicati anche on line.-

Disposto il sequestro dalla Procura di Monza, competente per territorio, l'autore del servizio e la società editrice, in qualità di terzo interessato all'esecuzione della misura, ricorrevano in Cassazione sostenendo l'illegittimità dello stesso.-

[2]

I MOTIVI DEL RICORSO

L'autore del servizio e l'editore ricorrevano in cassazione, esponendo in seguenti motivi:

  • erroneamente l'ordinanza impugnata non aveva esteso, almeno in via analogica, le garanzie in materia di sequestro di stampa cartacea, previste dalla legge ed applicate dalla giurisprudenza, alla trasmissione giornalistica;
  • erroneamente il sequestro era fondato esclusivamente sulla prospettazione del denunciante, senza valutazione degli elementi addotti dalle difese;
  • erroneamente il sequestro incideva anche su porzioni dei servizi espressamente giudicate corrette dal querelante, non inerenti alla sua posizione e, comunque, non oggetto di specifiche doglianze o allegazioni, sicchè il provvedimento impugnato eccede la finalità per la quale è giustificato.-

[3]

IL PERCORSO MOTIVAZIONALE DELLA CASSAZIONE

[A]

SULLA MANCATA ASSIMIBILITA' DELLA TESTATA TELEMATICA QUELLA CARTACEA

Punto di partenza, per una migliore comprensione del percorso motivazionale, non può che essere la massima espressa dalla Cassazione, a Sezioni Unite, n. 31022/2015[1]:

"la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di "stampa", di cui all'art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico[2]".-

Ormai alla "stampa" bisogna attribuire un significato innovativa, "una stampa 3.0", facendone rientrate anche quella telematica, perché

  • Diversamente ragionando, si arriverebbe alla paradossale situazione, che la stampa telematica, in alcuni casi mera riproduzione di quella cartacea, sarebbe assoggettabile, diversamente dalla seconda, a sequestro preventivo;
  • Il periodico telematico è strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile (spesso coincidenti con quelli della pubblicazione cartacea);
  • deve essere registrata presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione, deve avere ha un direttore responsabile, iscritto all'Albo dei giornalisti; ha un hostig provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC".-

Tali principi sono stati ribaditi anche dalla Cassazione Civile, sempre a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 23469/2016:

"La tutela costituzionale assicurata dall'art. 21, comma 3, Cost. alla stampa si applica al giornale o al periodico pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico, quando possieda i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo e quindi sia caratterizzato da una testata, diffuso o aggiornato con regolarità, organizzato in una struttura con un direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzata all'attività professionale di informazione diretta al pubblico, cioè di raccolta, commento e divulgazione di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati. Ne consegue che, ove sia dedotto il contenuto diffamatorio di notizie ivi pubblicate, il giornale pubblicato, solo o anche, con mezzo telematico non può essere oggetto, in tutto o in parte, di provvedimento cautelare preventivo o inibitorio, di contenuto equivalente al sequestro o che ne impedisca o limiti la diffusione, ferma restando la tutela eventualmente concorrente prevista in tema di diffusione dei dati personali".-

Nel caso di specie, seppure "Le Iene" abbiano una "dimensione sistematica e organizzata dell'attività prospettata come informativa", questa è solo indice dell'attività di impresa, non è una testata giornalistica, e non può certo "surrogare" la registrazione, con le relative indicazioni, compresa quella del direttore responsabile[3], chiamato giuridicamente - anche sul piano penale, come si è visto - a rispondere dei fatti diffamatori in forza di una specifica posizione di garanzia.-

Inoltre, la figura del "delegato[4]", evocata dalla società ricorrente non può essere assimilata, sotto il profilo che qui viene in rilievo (l'assunzione di una precisa e giuridicamente connotata responsabilità, anche penale), a quella del Direttore responsabile di una testata giornalistica telematica registrata.-

Ne discende che, nel giudizio in commento, seppure vada riconosciuto al programma in questione la piu' ampia libertà di pensiero, non per questo possa godere del peculiare statuto accordato, con riferimento alla non assoggettabilità a sequestro preventivo in relazione al reato di diffamazione, alle testate giornalistiche, "tradizionali" o telematiche.-

[2]

SULLA INSUFFICIENZA DEI MOTIVI POSTI ALLA BASE DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE

SULLA DENUNCIATA INADEGUATEZZA ARGOMENTATIVA.-

Come detto, per parte ricorrente il provvedimento di sequestro non potrebbe essere adottato, almeno nella materia in questione (afferente alla manifestazione del pensiero), sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa.-

Per la Suprema Corte:

  • i giudici cautelari hanno valorizzato anche una serie di documenti (in parte allegati dalla persona offesa alla querela, in parte dalla stessa prodotti in sede di assunzione di informazioni);
  • è noto che le dichiarazioni della persona offesa possono, da sole, giustificare perfino l'affermazione di responsabilità penale[5].-

Nel caso si specie, l''ordinanza impugnata si è uniformata al principio di diritto secondo cui il fumus commissi delicti per l'adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 c.p.p., necessita comunque dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto[6], dovendo il giudice verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario e non potendosi, invece, limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall'accusa[7].-

Infatti, da un lato ci sono le affermazioni contenute nel servizio incriminato, cioè che :

  • il virologo avrebbe condotto studi e registrato brevetti su anticorpi monoclonali e, dall'altra, aveva interessi economici poco chiari con la società Pomona Ricerca;
  • le sue argomentazioni circa l'importanza della terapia monoclonale e le valutazioni scientifiche diffuse in materia di Covid-19, non erano dettate dall'impegno nella divulgazione scientifica, ma da aspettative di guadagno personale e, quindi, da un conflitto di interessi;

dall'altro dalla indagini risulta che:

  • Il virologo non aveva nel suo ambito di ricerca mai brevettato anticorpi che abbiano a che fare col Covid-19" (avendo brevettato anticorpi relativi al contrasto di varie altre patologie);
  • la Pomona Ricerche s.r.l si era occupata di anticorpi monoclonali riguardanti varie malattie, ma anch'esse "nulla hanno a che vedere con il Covid-19"

Ne deriva che per la Cassazione non corrispondeva al vero che

  • "le opinioni espresse dal virologo siano state orientate da interessi economici collegati alle proprie ricerche sugli anticorpi monoclonali, perchè tali ricerche non hanno mai avuto connessioni con il Covid19, nè risulta in alcun modo che possano averle";
  • non può ravvisarsi l'esimente dell'esercizio del diritto di critica o di cronaca dal momento che il presupposto della critica non corrisponde alla realtà, "trattandosi di affermazioni sull'esistenza di un conflitto di interessi - veicolate attraverso allusioni estremamente suggestive e domande retoriche - assolutamente non corrispondenti al vero e di particolare effetto diffamatorio in ragione del vastissimo pubblico, ovviamente non specializzato, che la trasmissione Le Iene raggiunge".-

Rileva conclusivamente che, se il virologo non ha, nè può avere interessi economici collegati alle terapie o ai vaccini per il Covid-19, assume valenza diffamatoria suggerire, con "comunicazioni anche allusive, insinuanti e suggestive, dubitative o interrogative, ma non corrispondenti al vero idonee a ingenerare nella mente dei destinatari il convincimento dell'effettiva rispondenza a verità del fatto formalmente solo adombrato"[8], che le argomentazioni dello stesso virologo circa l'importanza della terapia monoclonale e le valutazioni scientifiche da lui diffuse in materia di Covid-19 non fossero dettate dall'impegno nella divulgazione scientifica, ma da aspettative di guadagno personale e quindi da un conflitto di interessi.-

[3]

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA' E' APPLICABILE ANCHE ALLE MISURE CAUTELARI.

NEL CASO DI SPECIE E' STATO ASSOLUTAMENTE RISPETTATO

La giurisprudenza di legittimità si è attestata sul consolidato principio di diritto, secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità - dettati dall'art. 275 c.p.p., per le misure cautelari personali, sono applicabili anche al sequestro preventivo[9]; ad esempio, rispetto al sequestro probatorio, il principio di proporzionalità esige la ponderazione tra il contenuto del provvedimento ablativo e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini[10].-

Nel caso si specie è piu' opportuno parlare di sequestro preventivo c.d. impeditivo, per il quale il principio di proporzionalità impone al giudice cautelare di motivare sull'impossibilità di fronteggiare il pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, ovvero di agevolazione della commissione di altri reati ricorrendo a misure cautelari meno invasive, oppure limitando l'oggetto del sequestro o il vincolo posto dallo stesso in termini tali da ridurne l'incidenza sui diritti del destinatario della misura reale.-

Il Tribunale del riesame ha motivato sul punto rilevando come i servizi televisivi che hanno diffuso i contenuti comunicativi ritenuti integranti il fumus del reato di diffamazione siano presenti nel sito internet della ricorrente e siano quindi disponibili alla visione di chiunque, sicchè la permanenza dei contenuti nel sito può protrarre e aggravare le conseguenze della diffamazione e l'unico mezzo idoneo a scongiurare tale effetti è il sequestro preventivo (delle sole pagine relative alle due trasmissioni, naturalmente, non dell'intero sito).-

Il sequestro di altre porzioni del servizio si rende necessario in quanto, pur non afferendo essi immediatamente al nucleo essenziale della comunicazione diffamatoria, quest'ultima risulta rafforzata e amplificata dalla stesse.-

[4]

CONCLUSIONI

La sentenza - proprio nel periodo in cui la Consulta aveva dichiarato incostituzionale l'articolo 13 della legge n.47/1948 che faceva scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa, compiuta mediante l'attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa - è importante per due motivi:

  • La trasmissione "Le Iene", pur avendo una organizzazione assimilabile a quella di una testata giornalistica e pur avendo un delegato" al controllo sulle trasmissioni - in virtu' della legge, vetusta, ma in vigore - non può essere considerata una testata giornalistica e quindi non può beneficiare dell'esenzione alla sequestrabilità delle pubblicazioni a mezzo stampa;
  • È legittimo il sequestro non solo le frasi diffamatorie ma anche le parti del servizio, che pur ricostruivano, senza avere efficacia diffamatoria in sé, un contesto caratterizzato da forte polemica in ambito scientifico.-

*****

[1] Si segnala, l'orientamento contrario, prima dell'intervento a Sezioni Unite, vale a dire Cass. 10594/2014, sempre nel rapporto tra diffamazione e sequestro preventivo di un mezzo di comunicazione diverso dalla stampa: "Può essere disposto solo se non emerga "ictu oculi" la probabile sussistenza di una causa di giustificazione e, in particolare, di quella dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica, sicché il giudice non può, quanto al "fumus commissi delicti", avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti.".-

[2] In motivazione la Corte ha precisato che, in tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa.-

[3] Proprio la mancanza di un Direttore Responsabile è stato il motivo per cui la Cassazione Penale, in un giudizio che vedeva coinvolto un inviato delle Iene, stabiliva l'inapplicabilità dell'art. 57 cp ("Reati commessi col mezzo della stampa periodica") all'imputato al quale era stato contestato l'omesso controllo sui contenuti della trasmissione; piu' in particolare: "In tema di diffamazione, non sussiste la responsabilità del giornalista - che abbia assunto la posizione di terzo osservatore dei fatti - il quale trasmetta, nel corso di un programma televisivo, le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate in sede di intervista, da un personaggio pubblico ai danni di altri soggetti pure con ruolo pubblico, quando vi sia l'interesse pubblico a rendere noto il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, giacché, in tal caso, la dichiarazione di quest'ultimo crea di per sé la notizia, che merita di essere pubblicata perché soddisfa l'interesse della collettività all'informazione indirettamente protetto dall'art. 21 Cost., indipendentemente dalla sua veridicità e dalla continenza delle espressioni utilizzate; né il giornalista può esercitare in tal caso il ruolo di censore nei confronti delle espressioni offensive perché la notizia verrebbe svuotata del suo reale significato, a detrimento del diritto-dovere di informare la pubblica opinione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente la scriminante del diritto di cronaca nei confronti di un giornalista che aveva intervistato la sorella di un soggetto deceduto dopo il suo arresto, pubblicamente impegnata nella richiesta di accertamenti in ordine alle cause che avevano determinato la morte del fratello e, quindi, oggetto di un noto caso giudiziario, nel quale erano stati coinvolti alcuni appartenenti alle forze di polizia che avevano proceduto all'arresto".- (Cass Penale 6911/2015)

[4] La responsabilità del delegato al controllo della trasmissione televisiva, in ordine al reato di diffamazione aggravata, può essere ritenuta sussistente solo a titolo di dolo e non di omesso controllo colposo; infatti: "In tema di diffamazione commessa con il mezzo televisivo, non è configurabile la responsabilità colposa per l'omesso controllo, nei confronti del soggetto delegato al controllo di una trasmissione televisiva, in quanto l'art. 30, comma terzo, l. n. 223 del 1990 sancisce detta responsabilità per i soggetti indicati al comma primo, tra i quali è compreso il soggetto delegato al controllo della trasmissione, solo nel caso in cui sia omesso il controllo necessario ad impedire i reati elencati nei commi 1 e 2, e cioè si tratti di trasmissioni a carattere osceno, pubblicazioni destinate all'infanzia o con contenuto impressionante o raccapricciante. Pertanto, la responsabilità del delegato al controllo della trasmissione televisiva, in ordine al reato di diffamazione aggravata, può essere ritenuta sussistente solo a titolo di dolo".- (Cass Penale 2378/2016)

[5] Ex plurimis Cassazione Penale, Sezione Unite, 41461/2012.-

[6] Ex plurimis Cassazione Penale n. 3722/2019.-

[7] Ex plurimis Cassazione Penale n. 18183/2017.-

[8] Orientamento uniforme: Cass Penale n. 41042/2014; Cass Penale 8/2019; Cass Penale 37124/2008.-

[9] Ex plurimis Cass Penale 21271/2014, per cui il sequestro preventivo/ impeditivo trova la sua giustificazione nel "finalismo" cautelare di impedire che una cosa pertinente al reato possa essere utilizzata per estendere nel tempo o in intensità le conseguenze del crimine o per agevolare il compimento di altri reati.

[10] Ex plurimis Cass Penale 9989/2018.-


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