PER LA CASSAZIONE “FR***”  RESTA UN INSULTO. NOTA ALLA PRONUNCIA N. 19359/2021 

07.06.2021

A cura dell'Avv. MicheleAlfredo Chiariello

TAGS: INSULTO OMOFOBO CASSAZIONE DIFFAMAZIONE

INDICE

1) INTRODUZIONE;

2) IL FATTO;

3) IL GIUDIZIO DI CASSAZIONE

INTRODUZIONE

La Cassazione, con la pronuncia in commento, conferma che l'insulto "frocio", anche nell'attuale concezione sociale/culturale ha una valenza negativa ed offensiva.-

Evidentemente, anche, ciò che appare scontato, necessità di una pronuncia della Suprema Corte per diventarlo!

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IL FATTO

L'imputato, transessuale esercente la prostituzione, proponeva ricorso in Cassazione, avverso una sentenza della Corte di Appello di Milano, confermativa di quella di primo grado, che lo aveva condannato per diffamazione, per aver, comunicando con più persone attraverso Facebook, sostenuto la presunta omosessualità di un soggetto, politicamente esposto, nonchè di aver intrattenuto con un lui un rapporto sessuale, definendolo, per questo, "frocio" e "schifoso".-

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IL GIUDIZIO DI CASSAZIONE

Il ricorso per Cassazione era essenzialmente fondato sui seguenti motivi (tutti rigettati):

  • Incompetenza territoriale del giudicante di primo e secondo grado (Milano), in quanto l'asserito reato sarebbe stato commesso a mezzo Internet, riconducibile ad un provider italiano e, di conseguenza, la competenza sarebbe stata dell'Autorità giudiziaria di Roma;
  • la comunicazione a mezzo Internet non integrerebbe l'aggravante di cui all'art. 595 c.p., comma 3, atteso che la messaggistica di Facebook sarebbe riconducibile alla sfera privata;
  • le espressioni utilizzate avrebbero perso, per "l'evoluzione" della coscienza sociale, il carattere dispregiativo e diffamatorio.-

La Suprema Corte di Cassazione, tanto statuiva sulla denunciata incompetenza territoriale:

"la competenza per territorio per il reato di diffamazione, commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell'altrui reputazione allocate in un sito della rete "Internet", va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell'imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall'art. 9 c.p.p., comma 2", (ex plurimis Cass., n. 16307 del 15/3/2011)

Precisando che

la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poichè la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, anche se non può dirsi posta in essere "col mezzo della stampa", non essendo i social network destinati ad un'attività di informazione professionale diretta al pubblico (ex plurimis cass. n. 4873 del 14/11/2016).-

Correttamente, quindi, è stata ritenuta integrata, nella specie, l'ipotesi aggravata di cui all'art. 595 c.p., comma 3, trattandosi di comunicazione avvenuta con un social di ampia diffusione.-

Sulla asserita perdita della carica lesiva delle espressioni utilizzate, tanto si legge

"Destituita di ogni fondamento è l'affermazione, contenuta in ricorso, che le espressioni imputate abbiano perso il carattere dispregiativo ad esse attribuito dal giudicante, per una presunta "evoluzione" della coscienza sociale (motivi 2 e 4). Le suddette espressioni costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell'identità personale, veicolo di avvilimento dell'altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate - in ogni dove - dall'attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono - per recare offesa alla persona - proprio ai termini utilizzati dall'imputato".-

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CONCLUSIONI

Lo si dica con franchezza: che nel 2021 sia necessario portare la Cassazione ad affermare ciò che dovrebbe essere un principio consolidato, non giuridico, ma etico e sociale, fa un certo effetto.-

La Nostra Costituzione tutela, e non potrebbe essere altrimenti, la scelta della propria identità sessuale:

"Il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale deve ascriversi nel novero dei diritti inviolabili della persona di cui all'art. 2 Cost., quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità. Inoltre, il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione (cd. coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno unito del 1981 (Cass. 1126/2015)"-

La potenzialità offensiva, mai venuta meno, della offesa in commento, è da sempre ritenuta tale dalla Suprema Corte; sul punto si richiama, ex plurimis, la sentenza n. 24513/2006, nella quale gli Ermellini avevano "bacchettato" un giudice di merito, che aveva assolto l'imputato da una contestazione analoga, perché aveva edulcorato e svalutato la portata lesiva della frase pronunciata, contravvenendo patentemente alla logica ed alla sensibilità sociale, che ravvisa nel termine "frocio" un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in forma graffiante.-

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