“PER LA CASSAZIONE COSTITUISCE DIFFAMAZIONE PUBBLICARE SULLO STATO DI WHATSAPP UN’OFFESA CONTRO UN ALTRO SOGGETTO”. COMMENTO ALLA SENTENZA 33219/2021

06.10.2021

A cura dell'Avv. Laura Buzzerio

TAGS: WHATSAPP - DIFFAMAZIONE - STATO - 

INDICE

· IL FATTO;

· LA TESI DIFENSIVA;

· LO "STATO" DI WHATSAPP;

· LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE;

· LA DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL.-

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IL FATTO

La Suprema Corte veniva attinta da un ricorso avverso una sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta, che aveva confermato la responsabilità dell'imputato per il reato di diffamazione, commesso pubblicando nel proprio "stato" di Whatsapp contenuti lesivi della reputazione di altro soggetto.-

[2]

LA TESI DIFENSIVA

Tra gli altri motivi di ricorso, vi era quello per cui i Giudici di merito non avessero considerato la possibilità che l'applicazione utilizzata consentisse all'imputato di escludere la visione dello "stato" a tutti o ad alcuni dei contatti presenti, nonché che non vi fosse prova che i contatti, e nel caso, quanti, lo avessero visto.-

[3]

LO "STATO" DI WHATSAPP

Proprio come avviene per le storie di Facebook e di Instagram, anche WhatsApp prevede questa funzione che permette di pubblicare foto e video e condividerli con i propri contatti, per la durata limitata (rinnovabile) di 24 h.-

Naturalmente, vi è la possibilità, per chi pubblica, di limitare, attraverso delle impostazioni dedicate, la visibilità ad alcuni contatti.-

Infatti, le opzioni previste sono quelle di far vedere lo stato:

  • I miei contatti (permette di consentire la visualizzazione dello stato a tutti i contatti, senza limitazioni);
  • I miei contatti eccetto... (permette di escludere alcune persone dalla visualizzazione dello stato);
  • Condividi con (per condividere lo stato soltanto con specifici contatti selezionati).-

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LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE

Per la Suprema Corte, la questione della visione dello stato da parte dei contatti non è ammissibile perché nuova e, sul punto in commento, veniva evidenziato come sarebbe stato illogico - come in effetti inaccettabile è la tesi avanzata - che l'imputato avesse vietato la visione dello stato a tutti i suoi contatti, lasciandolo visibile solo alla persona offesa, in quanto, ragionando per assurdo, sarebbe stato più facile, comodo e diretto inviargli un messaggio privato (e non avrebbe commesso il reato contestato!).-

Rilevante, quindi per la Cassazione, la constatazione che quei contenuti erano visibili dai contatti presenti nella rubrica dello smartphone dell'imputato; certo se l'eccezione sulla effettiva visione dello stato fosse stata avanzata per tempo, probabilmente questa pronuncia avrebbe avuto una portata diversa.-

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LA DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL

Dall'analisi dell'art. 595 c.p. emergono tre requisiti costitutivi dell'elemento oggettivo della diffamazione: l'offesa all'altrui reputazione, l'assenza dell'offeso e la comunicazione a più persone.-

Figlia dei tempi è l'ipotesi di consumazione del reato in commento a mezzo dei social, come nella fattispecie esaminata, che integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, non essendo i social network destinati ad un'attività di informazione professionale diretta al pubblico.- (ex plurimis Cass 22049/2020).-

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