INSULTA LA FIGLIA IN SOVRAPPESO, CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI. CASS N. 30780/2025

A CURA DELL'AVV.MICHELEALFREDO CHIARIELLO
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INDICE
1) INTRODUZIONE;
2) LA VICENDA;
3) IL PRINCIPIO DI DIRITTO;
4) IL VALORE DELLA TESTIMONIANZA DELLA MINORE;
5) CONCLUSIONI.-
Hai fretta ? Andiamo dritti al sodo:
1️⃣ 🗣️ "Cicciona, fai schifo" – Un padre insulta e umilia ripetutamente la figlia undicenne, arrivando persino ad aggredirla per questioni legate al cibo.
2️⃣ ⚖️ Cassazione n. 30780/2025 – Confermata la condanna per maltrattamenti: anche le parole, se reiterate e degradanti, sono armi penalmente rilevanti.
3️⃣ 👧 La voce della minore – La testimonianza della figlia, sostenuta da madre, zia e servizi sociali, è stata ritenuta credibile e decisiva per la condanna.
1. INTRODUZIONE
"Cicciona, fai schifo, susciti repulsione in me e in chi ti guarda". Non sono le frasi di bulli di scuola, né un linguaggio da bar: sono le parole di un padre, rivolte alla propria figlia undicenne, in piena fase di crescita.-
Un quadro familiare surreale, in cui l'adolescente – suo malgrado – si è trovata esposta a insulti continui, denigrazioni sul proprio corpo e persino a un'aggressione fisica, nell'estate del 2020, per ragioni legate al suo regime alimentare.-
Per tali condotte, l'uomo veniva processato per il reato di maltrattamenti in famiglia.-
2. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Secondo i giudici di merito – prima Tribunale e poi Corte d'Appello – quelle parole, ripetute con abitualità, avevano generato nella minore un regime di vita degradante, minandone autostima e crescita psicologica.-
La Cassazione, con la sentenza n. 30780/2025, ha confermato la condanna dell'uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., chiarendo che anche le umiliazioni verbali ripetute e degradanti – specie se provenienti da un genitore – integrano gli estremi della fattispecie penale.-
Il legame familiare, infatti, amplifica la forza distruttiva dell'insulto: il giudizio "domestico" pesa più di mille voci esterne, e se ripetuto diventa una vera e propria forma di maltrattamento.-
3. IL PRINCIPIO DI DIRITTO
La Suprema Corte ha ribadito che:
- gli insulti abituali e denigratori integrano maltrattamenti quando compromettono il clima familiare e impongono alla vittima una vita umiliante e svilente;
- Il rapporto genitore-figlio conferisce alle offese un peso insopportabile per un minore in fase di crescita e sviluppo;
- Non è necessaria la convivenza stabile: è sufficiente che vi siano contatti ricorrenti – anche telefonici – che inseriscano l'offesa in un quadro sistematico, e non come episodio isolato.-
La violenza familiare, dunque, non richiede sempre percosse o aggressioni fisiche: anche le parole, se reiterate, possono trasformarsi in vere e proprie armi penalmente rilevanti.-
4. IL VALORE DELLA TESTIMONIANZA DELLA MINORE
Elemento centrale della decisione è stata la credibilità della figlia, ritenuta pienamente attendibile sia per il contenuto circostanziato delle dichiarazioni, sia per la coerenza con gli altri elementi acquisiti: la madre, la zia paterna e persino i servizi sociali avevano descritto lo stesso atteggiamento sprezzante dell'uomo.-
5. CONCLUSIONI
In famiglia, dove dovrebbero regnare cura e protezione, gli insulti reiterati non sono "semplici parole", ma atti in grado di ferire profondamente, fino a integrare il reato di maltrattamenti.
La legge interviene a tutela della dignità della vittima, ricordando che anche le offese verbali, se sistematiche e degradanti, possono costituire una violenza intollerabile.-
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➡️ Commento e analisi a cura dell'Avv. Laura Buzzerio,
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