CAUSA SEMPLICE ED EQUO COMPENSO, LA CASSAZIONE DALLA PARTE DEGLI AVVOCATI

A CURA DELL'AVV.MICHELEALFREDO CHIARIELLO
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INDICE
1) INTRODUZIONE;
2) IL FATTO;
3) LA SENTENZA;
4) CONCLUSIONI.-
*****
Hai fretta? Andiamo dritti al sodo
👨⚖️ 1. IL FATTO – IL TRIBUNALE TAGLIA I COMPENSI
Una causa previdenziale vinta, ma al legale vengono liquidati appena 1.932 €: meno della metà dei parametri minimi. Il giudice motiva con la "semplicità" della causa.
⚖️ 2. LA CASSAZIONE – STOP AI COMPENSI SOTTO IL 50%
Con la sentenza n. 19049/2025, la Corte sancisce che i compensi forensi non possono mai scendere sotto il 50% dei valori medi ministeriali, anche in casi semplici. È questione di equo compenso e di dignità professionale.
👨💼 3. L'AVVOCATO – NON SOLO UNA FIRMA, MA UNA FUNZIONE
Dietro ogni causa c'è studio, impegno, responsabilità. Riconoscere un compenso equo non è un privilegio, ma una garanzia per la qualità della giustizia. L'avvocato lavora con passione, non per passione.
1. INTRODUZIONE
Nel panorama della giustizia italiana, si parla spesso dei diritti delle parti, delle lungaggini dei processi, delle decisioni "creative" dei giudici.-
Raramente si affronta, con la giusta attenzione, una questione che tocca la dignità professionale degli avvocati: il compenso.-
Non un dettaglio, ma il riconoscimento economico di un lavoro intellettuale, di una responsabilità e di una funzione costituzionalmente rilevante.- (non dimentichiamo che la professione dell'avvocato è l'unica indicata, più volte, nella Costituzione).-
La Cassazione con la sentenza n. 19049/2025 torna sulla questione ribadendo un principio troppe volte dimenticato: il giudice non può liquidare compensi al di sotto della soglia del 50% dei valori medi previsti dalle tabelle ministeriali, anche se la causa è ritenuta semplice.-
2. IL FATTO
Tutto parte da una vicenda previdenziale. Una donna ricorre contro l'INPS per ottenere l'assegno mensile di assistenza. Ha ragione: il Tribunale le riconosce il diritto. Ma all'avvocata, che ha seguito il caso, vengono liquidati 1.932 euro, un importo ben al di sotto della metà dei parametri previsti dal D.M. 55/2014.-
La motivazione del giudice? "La causa era semplice".-
Semplice, forse, per chi l'ha giudicata.-
Ma il diritto alla giusta retribuzione non si misura con la percezione soggettiva della difficoltà, né tantomeno con la durata della causa. Lo sa bene la professionista, che propone ricorso. E la Corte di Cassazione le dà pienamente ragione, sancendo un principio destinato a fare giurisprudenza.-
3. LA SENTENZA
La Corte chiarisce che il D.M. n. 55/2014, aggiornato dai successivi D.M. n. 37/2018 e n. 147/2022, contiene parametri vincolanti per la liquidazione giudiziale dei compensi forensi. In particolare:
- Il giudice può aumentare i valori medi fino all'80%, se ne ricorrono le condizioni;
- Può ridurli fino al 50%, motivando la scelta con semplicità della causa o altri criteri oggettivi;
- Può ridurli fino al 70% per la sola fase istruttoria, in presenza di particolari motivi;
- Non può mai scendere sotto il 50% del valore medio, pena la violazione del principio di equo compenso.-
Secondo la Corte di Cassazione, i parametri ministeriali non hanno solo valore indicativo: assolvono a una funzione pubblica, volta a garantire:
- l'autonomia tecnica e morale dell'avvocato;
- la qualità della prestazione professionale;
- la dignità della funzione difensiva.
4. CONCLUSIONI
La sentenza
n. 19049/2025 non è solo una vittoria per l'avvocata che l'ha promossa. È una
sentenza-manifesto, per chiunque eserciti questa meravigliosa professione.-
Se la causa è semplice – che poi cosa voglia dire "semplice", non è dato sapersi
- ciò non cancella lo studio, la preparazione, la responsabilità del professionista.-
Perché dietro
ogni "causa semplice" c'è studio, attenzione, strategia. C'è un tempo
che nessuno rimborsa, un'ansia che nessuno considera, un impegno che nessuno
misura davvero.-
Ci sono giornate passate tra atti da correggere e sistemi che non funzionano,
tra scadenze che si accavallano e udienze che ti lasciano esausto e, magari,
con un sapore amaro in bocca.-
C'è la
solitudine dello studio legale, dove si dorme poco e si scrive molto. Dove non
ci sono orari.- E c'è anche la fatica più amara: quella di spiegare al cliente
che no, non è "solo una firma", e che no, l'avvocato non lavora "per
passione", ma con passione, quella che ci fa rialzare anche quando
perdiamo, che ci fa resistere anche quando non veniamo pagati, che ci fa andare
avanti anche quando sarebbe più comodo smettere.-
Riconoscere un equo compenso non significa premiare una categoria. Significa
dare valore a una battaglia silenziosa, combattuta ogni giorno tra faldoni e
notifiche, tra codici e solitudine.-
Significa ricordare che dietro ogni atto c'è una persona che studia, scrive,
media, difende.-
Perché un avvocato sottopagato non è solo un professionista umiliato: è una giustizia – in minuscolo - che inciampa.-
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