UN “LIKE” PUO’ GIUSTIFICARE LA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO? COMMENTO ALLA SENTENZA N. 2365/2020 DEL TAR LOMBARDIA
A cura dell'Avv. MicheleAlfredo Chiariello
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INDICE
· INTRODUZIONE;
· I FATTI;
· LA DECISIONE DEL TAR;
· ALCUNI PRECEDENTI ANALOGHI.-
INTRODUZIONE
Il Tar Lombardia, Presidente Stefano Celeste Cozzi, con una interessante pronuncia ha ritenuto che un like, pubblicato da un agente della polizia penitenziaria, su un post che riportava la notizia del suicidio di un detenuto, è manifestazione di disprezzo della vita e viola i doveri gravanti su chi svolge una funzione pubblica.-
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I FATTI
Il ricorrente, Vice Commissario ordinario appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria, era stato sanzionato con la sospensione dal servizio per la durata di un mese, in quanto, nel commentare la notizia del suicidio di un detenuto avvenuto nella Casa di reclusione di Milano-Opera su Facebook, aveva inserito un "mi piace" (c.d. like), al quale avevano fatto seguito ulteriori commenti di stampo negativo da parte di altri appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria; tutto ciò aveva avuto una grande risonanza mediatica. Avviato il procedimento disciplinare, sul presupposto della violazione, da parte del ricorrente, dell'impegno morale assunto con il giuramento e dei doveri degli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria, lo stesso si era concluso con l'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio di un mese, il cui provvedimento veniva impugnato avanti il Tar Lombardia.-
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LA DECISONE DEL TAR
Assumendo l'illegittimità del decreto di sospensione, il ricorrente, chiedeva l'annullamento dello stesso[1] per
- violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 12 e 15 del D. Lgs. n. 449 del 1992[2];
- per eccesso di potere e difetto di presupposto, per travisamento, per sviamento, per difetto di istruttoria e per illogicità manifesta. -
In particolare, la difesa dell'agente era basata sulle seguenti doglianze:
- il commento del ricorrente (like) era stato erroneamente collocato in una fase temporale posteriore rispetto alle pubblicazioni effettuate da altri soggetti, mentre sarebbe del tutto pacifico che tale intervento sia stato il primo della serie;
- l' Amministrazione non avrebbe compreso la tipologia del commento, manifestatasi attraverso un simbolo, comunque di apprezzamento per l'intervento del corpo cui apparteneva, e non con parole;
- la sanzione irrogata al ricorrente sarebbe legata, più che alla gravità della condotta del predetto, al clamore mediatico suscitato dalla vicenda, alla sua veste di rappresentante sindacale e alla posizione di gestore della pagina facebook riferibile all'organizzazione sindacale di appartenenza.-
Il Tar respingeva ogni motivo, così motivando.-
Dalla lettura del provvedimento disciplinare si evince che l'agente è stato punito per "aver posto un commento "mi piace" (like) ad una notizia relativa alla morte di un detenuto, ritenuta dall'Amministrazione manifestazione di disprezzo della vita, dell'incolumità e della salute delle persone detenute, in violazione dei doveri degli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria", ciò avuto anche riguardo alla circostanza che l'opzione "mi piace" ha una portata amplificatrice e di condivisione del contenuto veicolato sui social network (Cass. Penale n. 55418/2017).-
Il comportamento del ricorrente è stato quindi ritenuto contrario al rispetto della dignità della persona umana e di quella dei soggetti detenuti, in favore dei quali un funzionario del Corpo di Polizia penitenziaria dovrebbe avere un ruolo attivo nel percorso di rieducazione, ed è stato valutato come contrastante con il giuramento e i doveri degli appartenenti al predetto Corpo, che anche fuori dal servizio sono tenuti ad osservare una condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni, come richiesto anche dall'art. 54 della Costituzione a tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche.-
Tenendo conto che, in questi casi, il Giudice amministrativo non può sindacare le scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione, salvo i paletti rappresentati da una evidente illegittimità, manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà (cfr., Consiglio di Stato, IV, 15 gennaio 2020, n. 381), nella fattispecie in esame, la sanzione è stata ritenuta, dal Tar Lombardia, ragionevole e coerente con la valutazione della gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente.-
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ALCUNI PRECEDENTI ANALOGHI
La sentenza del Tar Lombardia, in commento, non è una novità, in quanto, già altre volte, alcuni Tribunali Amministrativi si erano pronunciati su fattispecie analoghe.-
Proprio il Tar Lombardia, con la sentenza n. 246/2016, aveva ritenuto che:
"ll danno all'immagine e alla reputazione del datore di lavoro attraverso l'uso dei social network giustifica l'irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro, integrando gli estremi della violazione dell'obbligo di fedeltà e dei principi di correttezza e buona fede nella regolamentazione del rapporto di lavoro (Nella specie, il Tar aveva negato la sospensiva contro una sanzione disciplinare, irrogata a un dipendente della polizia penitenziaria che aveva cliccato "mi piace" su un articolo postato in Facebook, che riportava notizia critiche su un suicidio di detenuto del penitenziario ove questi svolgeva servizio)".-
Anche in questo caso, seppure la pubblicazione fosse stata effettuata da privato utente del social network, la stessa era stata ritenuta nociva per l'immagine della datrice di lavoro, con un percorso motivazionale, fondamentalmente, basato su questi punti:
- l'aggiunta del commento "mi piace" ad una notizia pubblicata sul sito facebook, che può comportare un danno all'immagine dell'amministrazione, assume rilevanza disciplinare;
- sebbene la notizia avesse un contenuto complesso, in quanto oltre all'informazione sul suicidio dava anche quella del pronto intervento della Polizia penitenziaria, la mancanza di un tempestivo recesso dal giudizio espresso, dopo che esso era stato seguito da altri giudizi inequivocabilmente riprovevoli, esclude che la condotta potesse considerarsi irrilevante.
Anche il Tar Genova[3], con sentenza del 348/2019, si era pronunciato in un caso simile a quello in commento.-
Sulla pagina Facebook riconducibile alla sigla sindacale Al.Si.P.Pe. (Alleanza Sindacale Polizia Penitenziaria) era stata pubblicata la notizia della morte per suicidio di un detenuto presso la casa di reclusione di Marassi, seguita dal commento ("Uno di meno"), poi oggetto di sanzione, impugnata, da parte di un ispettore della polizia penitenzia, nonché da altri, numerosi commenti[4].-
In giudizio, l'ispettore, oltre i prevedibili motivi[5], aveva sostenuto - in maniera creativa e fantasiosa - che quel post fosse stato scritto non da lui, ma dalla compagna che accedeva al social network con le sue credenziali.
Pe il Tar Ligure, "Tale prospettazione, seppure suffragata da una dichiarazione sottoscritta dalla pretesa autrice della frase in questione, non appare del tutto convincente in quanto, nonostante le spiegazioni fornite, non sono chiare le ragioni che avrebbero indotto la compagna a "visitare" la pagina Facebook di una sigla sindacale della polizia penitenziaria, mentre i motivi di interesse del ricorrente sono resi pienamente evidenti dalla sua attività professionale e sindacale. In ogni caso, anche volendo ammettere la fondatezza della proposta ricostruzione fattuale, essa non varrebbe ad escludere la responsabilità del dipendente in ordine all'episodio contestato. Come correttamente rilevato dall'Amministrazione, infatti, la circostanza che le credenziali del ricorrente fossero state comunicate ad una terza persona implicava l'autorizzazione all'accesso al suo profilo Facebook. Il commento "postato" con il profilo del ricorrente, pertanto, non può ritenersi frutto di un accesso abusivo né risulta che fossero stati violati in qualche modo i limiti dell'autorizzazione concessa dal titolare del profilo informatico il quale, prima dell'avvio del procedimento disciplinare, non ha comunque ritenuto di doversi dissociare dal commento medesimo. Né rileva, a quest'ultimo riguardo, la pronta rimozione di tutti i commenti "postati" sulla pagina Facebook di che trattasi, poiché l'interessato disponeva certamente di altri strumenti per manifestare pubblicamente il proprio punto di vista."-
Sul denunciato vizio di eccesso di potere per sviamento, sul presupposto che il potere disciplinare sarebbe stato esercitato al dissimulato scopo di placare l'eco mediatica provocata dai numerosi commenti di analogo tenore apparsi su Facebook, il TAR genovese riteneva l'atto adottato rispettoso delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto, nonché aderente al fine pubblico, cui è istituzionalmente preordinato.-
CONCLUSIONI
La particolarità della
fattispecie in commento - a prescindere dalle modalità con le quali il datore
di lavoro venga a conoscenza di questi post, che potrebbe avere rilevanza sotto
il profilo delle modalità di controllo a distanza - è che viene data rilevanza,
negativa, ad alcune manifestazioni del pensiero - costituzionalmente
tutelate - al di fuori della vera e propria prestazione lavorativa,
perchè offensive di (altri) valori morali e costituzionali, come quello della
dignità e del buon andamento della pubblica amm
[1] Nonché, con i motivi aggiunti, del provvedimento, successivo, con il quale era stato comunicato che il Consiglio Disciplinare aveva deliberato la sua esclusione per la promozione alla qualifica di Comm. della Pol. Penitenziaria-
[2] Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti
[3] Presidente Giuseppe Daniele, Presidente ed Estensore Richard Goso.-
[4] Dei molti, troppi, vergognosi post comparsi sulla pagina, si era scoperto che, almeno, 16 provenivano dalle pagine di agenti della penitenziaria, tutti sospesi dal Ministro della Giustizia del tempo.
[5] I motivi di gravame erano i seguenti:
I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 15 e 5, d.lgs. 449/1992. Eccesso di potere per difetto di presupposto. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere per difetto d'istruttoria. Contraddittorietà manifesta. Illogicità manifesta. Eccesso di potere per violazione del principio di buon andamento e Trasparenza dell'attività della P.A.
II) Eccesso di potere. Sviamento. Manifesta ingiustizia. Illogicità manifesta.-
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