REINTEGRATO IL VIGILE CHE AVEVA STRISCIATO IL BADGE IN MUTANDE. CDA GENOVA N. 206/2023

30.10.2023

A cura dell'Avv.MicheleAlfredo Chiariello

TAGS: BADGE - CARTELLINO - PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - SENTENZA PENALE - FURBETTI DEL CARTELLINO - REINTEGRA - CORTE DI APPELLO DI GENOVA SENTENZA N. 206/2023 - ALBERTO MURAGLIA 

INDICE

1)IL FATTO;

2)LA DECISIONE DEL CORTE DI APPELLO DI GENOVA;

3)SULLA TIMBRATURA "IN MUTANDE".-

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[1]

IL FATTO

Il caso è di dominio pubblico: un vigile di San Remo (veniva ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre) timbrava il badge in mutande e, per questo, suo malgrado, era diventato il simbolo dei "furbetti del cartellino".-

Ora, a distanza di oltre sette anni da quel licenziamento[1], dopo aver subito (ed uscito indenne) un processo[2] penale con l'accusa di aver prodotto false attestazioni a lavoro, nonché quella di truffa, la Corte di Appello di Genova[3] ha stabilito il diritto dell'agente di polizia municipale[4] ad essere reintegrato, nonché quello di ricevere, a titolo di risarcimento del danno, la retribuzione globale[5] di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra.-

[2]

LA DECISIONE DEL CORTE DI APPELLO DI GENOVA

La decisione in esame verte fondamentalmente sulla rilevanza nel giudizio di lavoro (a seguito della sanzione disciplinare espulsiva) del sopravvenuto passaggio in giudicato della pronuncia di assoluzione del lavoratore in sede penale.-

La Corte di Appello di Genova – dopo aver esaminato nello specifico i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale nel pubblico impiego, dettato dal d.lgs. 150/2009 e dal d.lgs. 75/2017[6], confermando la piena autonomia fra i due istituti, salvo eccezioni[7] - ha applicato in maniera corretta l'art. 653, comma 1 del c.p.p., che prevede l'obbligo del giudice (del procedimento disciplinare) di attenersi[8] a quanto disposto, e divenuto irrevocabile, in sede penale[9].-

Di conseguenza, emergendo che la vicenda oggetto di procedimento disciplinare[10] fosse identica a quella sottoposta alla cognizione del giudice penale, come identici fossero gli elementi istruttori posti alla base della sanzione disciplinare - dichiaratamente mutuati dall'attività investigativa svolta dalla polizia giudiziaria, la Corte di Appello ha stabilito come il sopravvenuto giudicato penale coprisse integralmente la contestazione disciplinare.-

Infatti, tali elementi istruttori, trasfusi nel processo civile avviatosi a seguito dell'impugnazione del licenziamento, sono stati nel frattempo vagliati nell'ambito del giudizio penale, definito con una doppia conforme assolutoria "perché il fatto non sussiste[11]"ai sensi dell'art. 530 co. 1 c.p.p., in cui, secondo consolidata giurisprudenza penale, la motivazione della sentenza di primo grado è stata confermata in appello.-

Naturalmente, tale sentenza non è ancora definitiva, in quanto possibile il ricorso per Cassazione.-

[3]

SULLA TIMBRATURA IN "MUTANDE"

Premesso quanto fin qui detto, per quanto riguarda l'aspetto "voyeuristico" della vicenda, cioè il passaggio del badge in abiti, per così dire, irrituali[12], la Corte di Appello di Genova, tanto riferisce:

"E' necessario rimarcare in particolare che – in ogni caso – per quanto riguarda la timbratura "in abiti succinti" si tratta di condotte di cui non viene compiutamente evidenziata la rilevanza disciplinare in sé", né viene menzionata l'esistenza di una disposizione contrattuale[13] o regolamentare che imponesse al dipendente di timbrare in divisa[14]".-

A questo punto, speriamo solo che a qualcuno non venga in mente di emulare tale abbigliamento per strisciare il badge…perché la sentenza, di certo, non sdogana tali condotte (questo va detto, a scanso di equivoci…)

NOTE

[1] Nel caso di specie, come evincibile dalla lettera di contestazione, il procedimento disciplinare seguiva alla conoscenza ufficiale del Comune di Sanremo della pendenza di procedimento penale, che coinvolgeva 270 dipendenti, tra cui il vigile in questione, indagati nell'inchiesta c.d. "Stakanov" per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio. Sotto il profilo disciplinare, al vigile in questione è stata contestata la violazione dell'art. 55 quater e dell'art. 55 quinques del d.lgs n. 155/2001, ossi la "falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altra modalità fraudolenta".-

[2] Durante le indagini fu arrestato e sottoposto ai domiciliari per quasi novanta giorni.-

[3] Dopo che (trattandosi di un licenziamento impugnato con il Rito Fornero) sia la fase sommaria, che quella di opposizione, terminavano, entrambe, con il rigetto del ricorso proposto dal lavoratore-.

[4] Rappresentato e difeso dagli Avvocati Luigi Alberto Zoboli e Alessandro Moroni.-

[5] Dalla somma dovrà essere sottratto quanto guadagnato dall'ex agente di polizia municipale, in questi anni, durante i quali ha lavorato come "aggiustatutto", aprendo un laboratorio.-

[6] Tale normativa ha superato, salve residue eccezioni, la previgente regola della c.d. pregiudiziale penale (in virtù della quale la Pubblica Amministrazione non poteva avviare il procedimento disciplinare se per il fatto addebitato all'impiegato fosse stata avviata l'azione penale e, ove tale procedimento avesse già avuto inizio, avrebbe dovuto essere immediatamente sospeso), sancendo l'autonomia tra illecito disciplinare e penale; tali eccezioni sono previste dall'art. 55 del d.lgs 165/2001.-

Tale articolo, come modificato dai d.lgs. 150/2009 e 75/2017, prevede infatti quanto segue: "1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. (…). 2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, (l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari), ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. 3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, (l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari) riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa. (…) ai fini delle determinazioni conclusive, l'ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'articolo 653, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale".-

[7] Come ben chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione "nonostante l'autonomizzazione del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, il legislatore ha previsto alcuni casi in cui l'eventuale conclusione del processo penale in senso difforme rispetto alle determinazioni assunte in sede disciplinare è destinata a determinare effetti anche su quest'ultimo piano, sebbene formalmente già definito. Ciò accade, a favore dell'incolpato, qualora il processo penale si chiuda con sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso (art. 55-ter, co.2 d. lgs. 165/2001), ipotesi in cui, su istanza dell'interessato, il procedimento disciplinare va riaperto al fine di adeguarne gli esiti alla sopravvenienza giudiziale, dovendosi a quel punto tenere conto altresì degli effetti di giudicato propri della pronuncia penale. L'azione disciplinare che la P.A. decida di proseguire nonostante la pendenza del processo penale resta quindi fisiologicamente condizionata, negli esiti, dalla definizione di quest'ultimo in senso favorevole all'incolpato. La ratio sottesa alle suddette eccezioni è senza dubbio effetto della diversa posizione della P.A. nell'ordinamento e del principio di buon andamento che ne governa l'operato (art. 97 Cost.), declinato dal legislatore, nelle norme sopra citate, in senso parzialmente divergente dalla regola del ne bis in idem, al fine di consentire l'adeguamento dell'assetto negoziale, in melius o in peius, nei casi previsti, alla statuizione assunta in sede giudiziaria penale e ciò in una sorta di raccordo finale tra autonomia disciplinare e interconnessione con le decisioni penali, rispetto ad un settore la cui funzione pubblica non tollera eccessivi scostamenti rispetto alla piena valutazione delle ricadute sul rapporto dei fatti muniti di rilevanza penalistica". (cfr. Cass. 25901/2021)

[8] Sul punto: "Il giudice civile, investito dell'impugnazione della sanzione disciplinare, non è vincolato né alla valutazione degli elementi istruttori compiuta in sede penale, né al "dictum" della sentenza di assoluzione non definitiva, quand'anche pronunziata con la formula "perché il fatto non sussiste"; al contrario, l'assoluzione ai sensi dell'art. 653, comma 1, c.p.p., se passata in giudicato, da un lato impone al giudice del lavoro di conformarsi ad essa e, dall'altro, consente, a richiesta, la riapertura del procedimento disciplinare, il cui esito, del pari, deve adeguarsi alla statuizione penale".- (Cass. Lavoro sentenza n. 6660/2023)

[9] L'art. 653 c.p.p., nella parte in cui conferisce alla sentenza penale efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, preclude l'esercizio dell'azione disciplinare qualora l'assoluzione sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso. Ciò significa che una questione disciplinare non può essere posta quando, in sede penale, abbia avuto luogo un proscioglimento con formula ampia, cioè quando i fatti esaminati nella sentenza penale sono definiti come storicamente inesistenti oppure la sentenza ricostruisce la condotta materiale o l'elemento psicologico in modo tale da collocare con sicurezza gli episodi esaminati al di fuori delle fattispecie disciplinari. -

[10] Nonostante l'assoluzione, il Comune di Sanremo aveva successivamente scelto di confermare il licenziamento nel maggio di quest'anno, sette anni dopo la contestazione.-

[11] Peraltro l'assoluzione in sede penale dipendeva anche dalla costante coerenza tra le risultanze dei tabulati telefonici ed il suo luogo di lavoro.-

[12] In "mutande", per la precisione; sul punto, si precisa che il lavoratore aveva l'obbligo di passare il badge presenza in un Ufficio a pochissimi metri (pare 15) dalla sua abitazione.-

[13] Dalla sentenza, in commento si apprende che in giudizio, da parte dell'Amministrazione Comunale, datrice di lavoro, non è stato neanche deposito il relativo contratto collettivo.-

[14] Si precisa che, in sede penale, il lavoratore si è difeso sostenendo di aver indossato la divisa subito dopo aver timbrato, trattandosi già di tempo-lavoro.-

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