QUANDO INCASSARE LA PENSIONE DI UNA PERSONA DECEDUTA CONFIGURA UNA IPOTESI DI TRUFFA? CASS. N. 24887/2023.

14.09.2023

A CURA DELL'AVV. LAURA BUZZERIO

TAGS: TRUFFA - PENSIONE - MORTE - CASS 248887/2023

INDICE

1 ) LA QUESTIONE

2) LA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE.-

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LA QUESTIONE

Quando incassare la pensione di una persona defunta configura una ipotesi di truffa e non di appropriazione indebita?

A fare chiarezza è una recente sentenza della Suprema Corte, che si è occupata del caso sottopostole da una coppia, condannata nei gradi di merito, per il delitto di truffa.-

In particolare, i due soggetti – di cui uno, la donna, in possesso di regolare procura speciale rilasciata da una prossima congiunta - non solo non avevano comunicato all'Inps (che aveva continuato ad erogare la prestazione) ed all'istituto bancario l'avvenuto decesso dell'anziana signora, ma avevano continuato ad operare sul c/c, come se nulla fosse, così procurandosi indebitamente, la somma di euro 226.031,45, corrispondenti a oltre quindici anni di pensione.-

[2]

LA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE

Per la Cassazione, nel caso in esame, la condotta posta in essere rientra nella ipotesi di truffa aggravata ex art. 640 bis cp[1] e non già di appropriazione indebita ex art. 316 cp (perlomeno nei confronti della titolare della delega) in quanto caratterizzata non solo dalla mancata comunicazione all'Inps e all'Istituto bancario del decesso (quindi una diversa rappresentazione della realtà, il c.d. artifizio o raggiro richiesto), ma soprattutto dall'uso illegittimo (contra legem) della procura bancaria ricevuta, che aveva permesso di effettuare movimentazioni sul conto ed incassare per oltre quindici anni i ratei non dovuti (il profitto), anche dopo la morte della beneficiaria diretta della prestazione.-

In definitiva: 

"la differenza tra la truffa aggravata e l'appropriazione indebita consiste nell'assunzione di condotte caratterizzate oltre che dal silenzio antidoveroso, anche da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi".-

NOTE

[1] Si richiama la sentenza n. 40260/2017 della Suprema Corte, conforme, a quella in esame.-

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