PER IL TRIBUNALE DI MILANO AL LAVORATORE NON VACCINATO DEVE ESSERE GARANTITO IL REPECHAGE. NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE! COMMENTO ALLA SENTENZA N. 2135/2021

21.09.2021

A cura dell'Avv. MicheleAlfredo Chiariello

TAGS: VACCINO - LEGGE 76/2021 - ASPETTATTIVA - DECRETO GREEN PASS 

INDICE

1) PREMESSA;

2) IL FONDAMENTO GIURIDICO POSTO ALLA BASE DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO;

3) LA SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITA' DELLA PRESTAZIONE;

4) L'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 76/2021;

5) LA RICORRENTE, NON VACCINATA, HA DIRITTO AD ESSERE REINTEGRATA?;

6) LE PRECEDENTI PRONUNCE IN TEMA DI SOSPENSIONE DAL LAVORO PER L'OMESSA VACCINAZIONE;

7) CONCLUSIONI.-

[1]

PREMESSA

Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 16/3/2021, la ricorrente, dipendente di una cooperativa sociale, impugnava un provvedimento[1], ricevuto in data 9/2/2021, di messa in aspettativa dal 9/2 al 30/4/2021, successivamente prolungata sino al 31/12/2021, termine previsto dal d.l. 44/2021 (poi convertito nella legge 76/2021), sulla scorta dell'asserita "violazione della migliore tutela dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti", conseguenza della omessa vaccinazione Anticovid-19.-

[2]

IL FONDAMENTO GIURIDICO POSTO ALLA BASE DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO

Il provvedimento adottato dalla società datrice di lavoro risultava evidentemente poggiato sul disposto normativo di cui all'art. 2087 c.c., quale misura atta a tutelare l'integrità e le migliori condizioni di salute dei lavoratori, potendo causare il rifiuto della vaccinazione, potenziali gravi conseguenze sulla salute dei medesimi soggetti, compreso il decesso, anche di soggetti terzi rispetto al rapporto contrattuale, ma coinvolti nello stesso (si pensi ai pazienti, soggetti evidentemente fragili, delle Rsa).-

Il provvedimento di aspettativa comportava

  • l'impossibilità (della ricezione) della prestazione del lavoratore;
  • la conseguente, sospensione della retribuzione.-

[3]

LA SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITA' DELLA PRESTAZIONE

Alla luce della direttiva Ue 2020/739[2] del 3 giugno 2020, recepita nel nostro ordinamento attraverso la legge n. 159/20, tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro, dettati dal Dlgs 81/2008, a carico del datore di lavoro, vi è anche quello di tutelare i lavoratori[3] da agenti di rischio esterni, derivanti dalla diffusione pandemica covid19.-

Rebus sic stantibus, il lavoratore socio sanitario, che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione, risulterà temporaneamente inidoneo, in quanto potenziale veicolo di diffusione del contagio, allo svolgimento della prestazione.-

Si tratta dell'istituto della sopravvenuta impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.).-

Cionondimeno, rappresentando la sospensione del lavoratore senza retribuzione l'extrema ratio, vi è - ma già prima della normativa epidemica[4] - un preciso onere del datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative[5], astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall'altro, con la tutela della salubrità dell'ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.-

L'onere probatorio che grava sul datore di lavoro in caso di sospensione del rapporto per impossibilità temporanea della prestazione è, dunque, analogo a quello previsto per il caso di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione; in ambedue i casi il datore di lavoro è onerato di provare di non poter utilizzare il lavoratore in altra posizione di lavoro o in altre mansioni equivalenti o inferiore (c.d. repechage).-

Nel caso di specie, questo obbligo non risulta soddisfatto,

di qui la illegittimità del provvedimento impugnato.-

[4]

L'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 76/2021

Come detto, il ricorso è stato depositato prima dell'entrata in vigore del d.l 44/2021, poi, convertito nella legge 76/2021; anche applicando l'iter procedurale previsto da quest'ultima norma, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo.-

La disposizione prevede un iter bifasico[6]:

- un primo segmento (propriamente amministrativo e pubblicistico), disciplinato dai commi 3-7 e 9 dell'art. 4 e attribuito alla competenza dell'Azienda sanitaria di residenza dell'interessato, è volto ad accertare se il sanitario abbia ricevuto la somministrazione del vaccino, in conformità all'obbligo sancito dal comma 1. Qualora l'Azienda sanitaria riscontri l'ingiustificato inadempimento, adotta un atto di accertamento cui consegue, quale effetto automatico ex lege a carico del sanitario, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da Covid19;

- un secondo segmento, disciplinato dai commi 8 e 10 dell'art. 4, prendendo le mosse dall'accertamento di cui sopra e dal suo effetto legalmente impeditivo rispetto allo svolgimento di un'ampia categoria di mansioni, chiama invece in causa i poteri organizzativi del datore di lavoro (e ha quindi, generalmente, natura privatistica, anche laddove si tratti di rapporti di pubblico impiego, cfr. art. 5, comma 2 e 63 del d.lgs. 165 del 2001). Il datore deve infatti valutare la possibilità di assegnare il sanitario "a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio". Al riscontro dell'impossibilità di un reimpiego, e quindi dell'impossibilità di utilizzare la prestazione lavorativa, consegue la sospensione dalla retribuzione, salvi i casi in cui l'omissione o il differimento della vaccinazione sono giustificati.-

Infatti, secondo il Giudice milanese, se l'art. 4 della legge 76/2021 prevede che il lavoratore sia invitato formalmente a sottoporsi alla somministrazione del vaccino, con indicazione dei termini e modalità entro i quali adempiere, tale comunicazione deve essere, preceduta dalla concessione di termine per la produzione di documentazione giustificativa dell'esenzione vaccinale, che nel caso di specie manca del tutto (art 5 legge 76/2021).-

Di qui, un ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento impugnato.-

[5]

LA RICORRENTE, NON VACCINATA, HA DIRITTO AD ESSERE REINTEGRATA?

Assolutamente no.-

Infatti: "È fatto incontestato che la stessa non abbia, alla data della decisione, ancora aderito alla campagna vaccinale, incorrendo nella preclusione normativa di cui all'art. 4 comma 1 d.l. cit. che accompagna l'introduzione dell'obbligo vaccinale, per determinate categorie di lavoratori, alla previsione secondo cui "la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati".-

[6]

LE PRECEDENTI PRONUNCE IN TEMA DI SOSPENSIONE DAL LAVORO PER L'OMESSA VACCINAZIONE

La sentenza in commento si inserisce in un solco, già delineato, di pronunce di merito[7] sulle conseguenze sul rapporto di lavoro della mancata vaccinazione, almeno, nei casi in cui la stessa sia obbligatoria, come nel comparto sanità.-

Tra le principali:

- Tribunale di Belluno Sezione Lavoro l'ordinanza n. 12 del 19 marzo 2021 (quindi prima dell'entrata in vigore del d.l.44/2021), con la quale veniva rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. di alcuni dipendenti, operatori sanitari, collocati in ferie - quindi senza nessuna menomazione economica - dal datore di lavoro per aver rifiutato il vaccino anti-COVID 19, statuendo la bontà dell'iniziativa datoriale, diretta conseguenza, ex art. 2087 c.c. di adottare tutte le misure necessarie, tra cui, evidentemente, anche il vaccino, cui, il diritto a godere delle ferie in un momento diverso, cedeva il passo.-

- Tribunale Verona Sez. lavoro Ord., 24/05/2021 (ricorso depositato prima dell'entrata in vigore del d.l.44/2021), secondo cui "Va rigettato il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. promosso da una operatrice sociosanitaria operante presso una RSA, collocata in aspettativa non retribuita in ragione del suo rifiuto di sottoporsi al vaccino Covid 19. L'esito del giudizio, seppur sorto precedentemente all'entrata in vigore dell'obbligo vaccinale, ed il conseguente rigetto della domanda attorea di adibizione alle precedenti mansioni deriva dalla necessità di tutelare l'interesse prevalente dei soggetti assistiti";

- Tribunale di Modena Sezione Lavoro decreto di rigetto n. 2467/2021 del 23-7-2021 , con il quale veniva rigettato il ricorso ex art. 700, di alcune dipendenti, non vaccinate contro il Covid 19, aventi mansioni di fisioterapiste di una cooperativa, con il quale chiedevano dichiararsi la nullità/invalidità/illegittimità del provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio e dalla retribuzione, adottato dalla datrice di lavoro;

- Tribunale di Pavia Sezione Lavoro decreto di rigetto del 20-7-2021, con il quale veniva rigetto il ricorso ex art. 700, di alcune dipendenti, operatrici socio-sanitarie, non vaccinate contro il Covid 19, collocate forzatamente e senza preavviso in ferie per tutto il mese di maggio 2021, con il quale chiedevano la immediata reintegra sul posto di lavoro, nonché la reintegra nel proprio monte-ferie dei giorni di ferie imposte;

- Tribunale di Roma Sezione Lavoro decreto di rigetto n. 18441/2021, a definizione di un ricorso presentato da una lavoratrice, che impugnava il provvedimento, con il quale il medico competente, l'aveva dichiarata "idonea con limitazioni" a svolgere le sue mansioni lavorative, per il rifiuto della stessa a sottoporsi alla vaccinazione per il Covid19, sospendendola dal lavoro e dalla retribuzione "fino a un eventuale giudizio di revisione del giudizio d'idoneità o cessazione delle limitazioni."-

[7]

CONCLUSIONI

Il Tribunale di Milano ha stabilito "unicamente" che il lavoratore, in questo caso appartenente al comparto sanità, non vaccinato - e quindi, divenuto inidoneo a rendere la propria prestazione, seppure "sospeso", abbia diritto alla retribuzione, non percepita per questa causa, perché la società datrice di lavoro non aveva rispetto l'onere probatorio sul repechage.-

"Nihil sub sole novum", venga consentito scriverlo.-

Sia perché tale principio è, come detto, ormai consolidato, in generale, nella giurisprudenza relativa ai licenziamenti, ma, soprattutto, perché tanto è previsto dalla normativa specifica, vale a dire dalle legge 76/2021 che, all'art. 9, tanto recita, riassumendo quanto fin qui detto:

"[...] il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non e' possibile, per il periodo di sospensione non e' dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato [...]".-

Non è una sentenza no vax e ogni interpretazione in tal senso è assolutamente corrotta e fuorviante.-

Infine, si aggiunga che questa pronuncia, relativa, lo si ripete a scanso di equivoci, ad una controversia introdotta prima della entrata in vigore del D.l. 44/2021, è già, di fatto, superata dalla nuova formulazione della legge; Il Consiglio dei Ministri ha approvato giovedì 16 settembre 2021 il cosiddetto "decreto Green pass", un decreto-legge che ha di fatto esteso a tutti i lavoratori nell'ambito pubblico e privato la certificazione verde COVID-19. In sostanza, con questo intervento il Governo ha reso obbligatorio il Green pass in tutte le aziende, prevedendo sanzioni e conseguenze specifiche per chi non rispetta le disposizioni in vigore, vale a dire la possibilità di sospendere dalla retribuzione il lavoratore non vaccinato, che, tuttavia, non può essere attinto da sanzioni disciplinari, né, tanto meno, licenziato.-


[1] Censurava la legittimità del provvedimento datoriale sotto plurimi motivi, eccependo, in particolare: a) la violazione dei protocolli in materia di lavoro, ed in particolare del protocollo 24 aprile 2020; b) la violazione della procedura pubblica di somministrazione del vaccino prevista dal decreto Min. Sal. 2 gennaio 2021; c) la violazione delle norme relative all'obbligo di ricollocamento di soggetto inidoneo alla mansione; d) la violazione della l. 145 del 28 marzo 2001; e) l'inapplicabilità degli artt. 2087 c.c. e dell'art. 279 d.lgs. n. 81/2008, per violazione dell'art. 32 Cost. e della Risoluzione n. 2361/2021 del Consiglio d'Europa; e) l'insussistenza nel merito della possibile violazione del principio di precauzione per assenza dei requisiti di necessità e proporzionalità.-

[2] La Direttiva inseriva il virus del Covid nel gruppo 3, si tratta cioè un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l'agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.-

[3] Ma anche terzi: secondo Trib. Modena, ord. 23 luglio 2021, n. 2467, "il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza sia dei dipendenti che dei soggetti terzi che per diverse ragioni si trovano all'interno dei locali aziendali e ha quindi l'obbligo ai sensi dell'art. 2087 c.c. di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei predetti soggetti".-

[4] A partire dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 7755/1998.-

[5] Sul punto si veda, da ultimo, Cass Sez Lav. 6497/2021(In materia di lavoro subordinato, il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche può essere assegnato, ai sensi dell'art. 42, d.lgs. n. 81 del 2008, anche a mansioni equivalenti o inferiori; nell'inciso "ove possibile" si contempera "il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l'obbligo di ricercare - anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto - le soluzioni che, nell'ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell'onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l'attuazione dei detti diritti.".-

[6] Tar Friuli Venezia Giulia sentenza n. 276/2021

[7] Senza dimenticare anche altre amministrative, tra cui Tar Lecce, sez. II, dec., 5 agosto 2021, n. 480 - Pres. Pasca.-

Dal box qui a sinistra puoi scaricare direttamente il file in formato pdf, ma ricorda di indicare la fonte (titolo articolo, autore, link diretto)

Clicca qui

Per richiedere una consulenza su questo argomento