NON PUO’ ESSERE LICENZIATO IL LAVORATORE CHE SI RIFIUTA DI SERVIRE UN CLIENTE SENZA MASCHERINA (TRIB. AREZZO SENTENZA N. 9/2021)

18.05.2021

A cura dell'avv. Laura Buzzerio

TAGS: OBBLIGO MASCHERINA - SICUREZZA SUL LAVORO - LICENZIAMENTO  

INDICE

1)INTRODUZIONE;

2) LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI AREZZO;

3) CONCLUSIONI.-

INTRODUZIONE

Un dipendente veniva licenziato, per motivi disciplinari, assistiti da giusta causa, per aver, , riferito ad un cliente, durante il turno notturno di servizio, che "se non avesse indossato la mascherina di protezione, non gli avrebbe fatto la transazione in cassa per l'acquisto di due prodotti del market".-

Secondo la tesi datoriale, il lavoratore risulterebbe "inadempiente nei confronti dei suoi obblighi contrattuali" per aver "disatteso le indicazioni aziendali previste in questo periodo di emergenza sanitaria", e aver "danneggiato gravemente l'immagine aziendale".-

A seguito di attività istruttoria è emerso che

  • l'avventore si era avvicinato, senza mascherina (o presidio alternativo), al dipendente, il quale gli aveva detto che "per avvicinarsi si poteva coprire con il collo della felpa (come fanno tanti sprovvisti di mascherina)";
  • a tanto, l'avventore rispondeva "che le mascherine le portano i malati" e che il titolare e dipendenti sono "dei ladri che gli prosciugano lo stipendio e che mentre prima lo facevano a viso scoperto ora lo fanno con le maschere", allontanandosi.-

[2]

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI AREZZO

Il Tribunale di Arezzo, con sentenza n.9/2021, respingeva il ricorso datoriale, con il quale era stata impugnata l'ordinanza di reintegro del lavoratore disposta in via cautelare.-

Per il Giudice toscano

  • le frasi, attribuite al dipendente, non sono né ingiuriose né offensive; tanto meno sono "gravi" e, ancor meno, sono state percepite per tali, ma costituiscono una, giustificata e giustificabile, reazione verbale, dovuto all'esasperazione della condotta del cliente, "denotante ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri clienti, oltreché del cassiere";
  • né è ipotizzabile il "grave fatto"(che giustificherebbe la giusta causa), perché il mancato acquisto dei prodotti (due pacchi di sigarette), non costituendo un bene essenziale, non avevano provocato nessun pregiudizio reale all'avventore, invitato a coprirsi, almeno, con la felpa;
  • la gravità morale ed economica contestata non risulta né dedotta, né provata;
  • la condotta censurata è, pertanto, inidonea a ledere definitivamente la fiducia alla base del rapporto di lavoro, così non integrando violazione del dovere di fedeltà posto dall'art. 2105 c.c. né, tantomeno, giusta causa di licenziamento;
  • il lavoratore si è limitato ad esercitare il proprio diritto, costituzionalmente garantito, di svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza, in quanto l'esimente dello stato di necessità gli consentiva del resto, pur in assenza di una specifica disposizione di legge, anche di astenersi dal lavoro poiché lo svolgimento della prestazione lo esponeva ad un rischio di danno alla persona.-

[3]

CONCLUSIONI

I primissimi commenti sulla sentenza individuavano la illegittimità del licenziamento nell'obbligo di legge a carico del datore di lavoro di garantire l'osservanza delle norme a tutela dell'integrità fisica dei dipendenti, ex art. 2087 c.c. (nonché tutto il monumentale presidio giuslavoristico del nostro ordinamento, a cominciare dallo Statuto dei Lavoratori), nonché quanto previsto dal protocollo del 24 aprile 2020 ed alcune ordinanze regionali, che imponevano l'uso della mascherina all'interno dei negozi.-

Da tale premessa sarebbe derivata la possibilità, non esercitata, del dipendente di rifiutare di eseguire la propria prestazione lavorativa, in quanto, come da principio ormai consolidato (ex plurimis Cass. n. 839/2016):

"E' legittimo il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa in un ambiente di lavoro pericoloso, eccependo l'inadempimento altrui conservando il diritto alla retribuzione".-

A parere della scrivente, però, la prospettiva può essere anche diversa, pur mantenendo tale premessa: con l'entrata in vigore del d.lgs 81/2008, e successive modifiche, il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, anche, sotto il profilo della sicurezza è profondamente cambiato.-

Il legislatore, se da un lato ha tenuto ben fermi gli obblighi datoriali, ha cercato di coinvolgere attivamente il lavoratore nella gestione della sicurezza, attraverso una disciplina "che mira ad indurre il datore di lavoro ad un comportamento virtuoso in materia prevenzionistica[1]".-

Infatti, come sostenuto da autorevole dottrina[2]: "Per decenni è stato usuale sostenere che il lavoratore è un mero creditore di sicurezza. Questa affermazione deve ormai essere riesaminata. L'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 prevede, infatti, che "ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni". Se ne desume "un nuovo principio", più che mai basilare su un terreno quale quello del coronavirus: "la trasformazione del lavoratore da semplice creditore di sicurezza nei confronti del datore di lavoro a suo compartecipe nell'applicazione del dovere di fare sicurezza, nel senso che il lavoratore diventa garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri compagni di lavoro o di altre persone presenti, quando si trovi nella condizione, in ragione di una posizione di maggiore esperienza lavorativa, di intervenire onde rimuovere le possibili cause di infortuni sul lavoro" (anche perché il Covid è qualificato come infortunio sul lavoro)".-

Anche la giurisprudenza (Cass.Pen. n.36452/2014; Cass Pen. 3272/2015) è sulla stessa lunghezza d'onde:

"la trasformazione del lavoratore da semplice creditore di sicurezza nei confronti del datore di lavoro a suo compartecipe nell'applicazione del dovere di fare sicurezza, comporta che il lavoratore diventa garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri compagni di lavoro o di altre persone presenti, quando si trovi nella condizione, in ragione di una posizione di maggiore esperienza lavorativa, di intervenire onde rimuovere le possibili cause di infortuni sul lavoro[3]". -

Di conseguenza, se è vero che obbligo del datore di lavoro quello di formare i dipendenti e garantire loro ogni presidio di sicurezza, è anche vero che, a norma dell'art. 20 TUSL, lo stesso lavoratore deve essere garante della propria sicurezza, nonché quella dei propri colleghi e addirittura quella dei terzi presenti, come, nel caso di specie, identificabili nella figura del cliente: sicchè la richiesta di indossare la mascherina, rivolta al cliente - deve essere interpretata in questa triplice prospettiva.-


[1] Passo trattato dall'articolo "L'obbligo di segnalare deficit della sicurezza in azienda a dieci anni dal d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81", a cura di Stefano Maria Corso.-

[2] Cioè l'ex Magistrato Raffaele Guariniello, in "La sicurezza sul lavoro al tempo del coronavirus", ebook del 2020 edito dalla Wolters Kluwer Italia S.r.l-.

[3]www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/ruoli-figure-C-7/lavoratori-C-73/diritti-obblighi-del-lavoratore-in-materia-di-sicurezza-sul-lavoro-AR-14721/ 

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