LICENZIATO IL DIPENDENTE CHE, ARRESTATO, NON LO COMUNICA SUBITO ALL’AZIENDA. CASSAZIONE N. 13383/2023

29.05.2023

A cura dell'Avv.MicheleAlfredo Chiariello

TASG: LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - IMPIEGO PUBBLICO -  ARRESTO - COMUNICAZIONE AL DATORE - CASS 13383 2023

INDICE

1)IL FATTO;

2)LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE.-

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IL FATTO

Un soggetto – dipendente di una Asl, con mansioni di tecnico necroforo ospedaliero, attinto da licenziamento per assenza ingiustificata, in quanto ristretto in carcere, in virtù di sentenza definitiva per reati non commessi nell'esercizio delle sue funzioni – adiva la Magistratura del Lavoro tarantina, che sia in primo grado, che in sede di gravame, rigettava il ricorso-

In particolare, la giustizia di merito riteneva legittimo il licenziamento, in quanto il dipendente non aveva comunicato tempestivamente la sua "indisponibilità", nonché giusto il recesso motivato dall'assenza protratta per un tempo superiore a tre giorni (alla data della contestazione superiore a due mesi), tempo già ritenuto dal c.c.n.l. idoneo a risolvere il rapporto, né giustificato successivamente la sua assenza.-

Il dipendente – sostenendo che l'ufficio avesse appreso informalmente, dalla moglie, del suo arresto, nonché della impossibilità di comunicare la circostanza personalmente, anche perché contestualmente posto in isolamento per quattordici giorni per contenimento della diffusione del contagio da covid-19 - ricorreva in Cassazione.-

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LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Suprema Corte (Presidente Antonio Manna e Relatrice Ileana Fedele), rigettava il ricorso, sul presupposto che

"sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l'assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto provvedere ad una tempestiva comunicazione onde porre l'azienda in condizione di riorganizzare il servizio. In questo senso, risultava irrilevante il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era agli arresti, perché l'informazione era incompleta e non idonea a consentire all'azienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente, in difetto di informazioni sulla ragione dell'arresto, il carattere o meno temporaneo della misura, la durata, insomma le notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni".-

[3]

CONLCUSIONI

La Suprema Corte evidenziava, quindi, che la condotta omissiva del lavoratore rilevasse non solo sotto il profilo del rispetto degli obblighi di correttezza e di buona fede, ma anche, e soprattutto, per l'evidente disinteresse dello stesso che, incurante di una condanna lunghissima (si legge in sentenza quasi dieci anni), impediva alla azienda di correre, repentinamente ai ripari, disponendo un riassetto del servizio.-

Infatti, se lo stato di detenzione del lavoratore, per fatti estranei al rapporto di lavoro, non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, può integrare gli estremi della sopravvenuta temporanea impossibilità della prestazione, e giustifica il licenziamento nel caso in cui, in base ad un giudizio "ex ante" - che tenga conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonché del già maturato perìodo di sua assenza, della ragionevolmente prevedibile ulteriore durata della sua carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell'assenza – determini motivo oggettivo di recesso, non persistendo l'interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente detenuto.-

Tuttavia, allo scrivente resta qualche dubbio sul perché l'azienda abbia proceduto a disporre un licenziamento disciplinare, piuttosto che quello per impossibilità sopravvenuta della prestazione[1], alla luce della inutilità di mantenere in vita un rapporto, lavorativo che il dipendente avrebbe potuto tornare a rendere solo a distanza di diversi anni, specie considerando che poteva facilmente essere rimpiazzato da un altro lavoratore.-

NOTE

[1] A questo proposito si veda la sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze del 4-3-2014, che, in una fattispecie analoga (seppure appartenente all'impiego privato, dipendente che non comunicava il suo stato di arresto all'azienda) aveva valutato legittimo il licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione.-

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