GIORNALISMO D’ASSALTO. IL CASO PELAZZA. CASS. N. 36407/2023

26.09.2023

A CURA DELL'AVV. MICHELEALFREDO CHIARIELLO

TAGS: VIOLENZA PRIVATA - GIORNALISMO D'ASSALTO - PELAZZA - LE IENE - CASS 36407 2023

INDICE

1 ) IL FATTO

2) LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE;

3) CONCLUSIONI.-

*****

[1]

IL FATTO

Nel corso degli ultimi anni programmi televisivi d'inchiesta come "Le Iene", "Striscia la Notizia", "Report" (ma anche altri) sono diventati fenomeni di massa a tal punto che – ormai in maniera automatica - al primo (per carità, magari pure reale) intoppo amministrativo/burocratico, giudiziale, sociale oppure quando pensiamo di aver subito una evidente ingiustizia a livello legale o morale, la prima cosa che pensiamo è quella di rivolgerci a loro, i tutori della giustizia del nuovo millennio!

Che siano spacciatori, pedofili, ginecologi dalle mani un po' lunghe, politici bugiardi, professionisti corrotti o preti "scostumati" non fa differenza, l'importante è a spettacolarizzazione del momento, che passa anche attraverso l'uso di "uniformi" (come nel caso delle Iene) o costumi (il "Gabibbo", "Capitan Ventosa" ed altri) e di metodi giornalistici "d'assalto", caratterizzati, il più delle volte, da delle vere e proprie imboscate[1], cui seguono domande non concordate, spigolose, che mettono a nudo l'intervistato[2].-

Probabilmente, anzi sicuramente, è questo il segreto del successo di queste trasmissioni, i cui giornalisti – in quel momento – rappresentano "il quisque de populo", il cittadino normale, e il suo desiderio di tutela (o, forse, vendetta?) davanti ad angherie, soprusi, abusi ed ingiustizie.-

Ma tale giornalismo d'assalto, poco tollerante della volontà dell'intervistato, è lecito?

Per la Cassazione, tale condotta può configurare il reato di violenza privata.-

E' quello che è successo al famoso inviato (delle "Iene") Luigi Pelazza, denunciato e poi a processo, in seguito ad una intervista, non certo pacifica, realizzata introducendosi, con il proprio cameramen, all'interno della villa della vittima, costretta a subire le intemperanze, non solo verbali, del giornalista.-

Tranquilli, il buon Pelazza[3], seppure condannato[4], "non rischia il carcere", in quanto la pena è stata convertita in una sanzione pecuniaria, ma ciò non elimina il senso di curiosità sulla vicenda e le conseguenze che potrà avere sul tale metodo giornalistico.-

[2]

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Per la Suprema Corte non ci sono dubbi, impedire ad una persona di raggiungere casa, costringendola a tollerare di essere ripresa per tutto il tempo dell'intervista contro la propria volontà, configura una ipotesi di reato, perché la stessa viene limitata nella sua capacità di autodeterminazione, oltre che nella libertà di movimento:

"l'esercizio, da parte dell'inviato, di una reiterata, insistente e oppressiva pressione esercitata per il tramite dell'imposizione di domande, di riprese video e di posture fisiche, cui la persona offesa tentava invano di sottrarsi […] costringendo la vittima a un "pati" (ovverosia a tollerare od omettere una condotta determinata), può certo ricondursi a quella peculiare forma di violenza privata indicata dalla costante giurisprudenza di legittimità quale violenza "impropria", vale a dire un tipo di coartazione dell'altrui libertà «che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali"

E la scriminante a tutela del diritto di cronaca?

Per la Cassazione questa «rileva solo in relazione ai reati commessi con la pubblicazione della notizia e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia, come affermato in un caso[5] nel quale è stata esclusa la configurabilità della scriminante per il giornalista che, utilizzando false generalità, si era introdotto in una struttura medica per acquisire notizie per la realizzazione di un servizio televisivo».

[3]

CONCLUSIONI

La sentenza in commento segnal la fine di queste trasmissioni?

Certo che no, il caso di specie è assai particolare, in quanto risulta che il giornalista avesse "«frapposto il piede tra il montante e il portone d'ingresso del condominio della intervistata, le avesse impedito di chiudere la porta d'ingresso, costringendola a sedersi per terra, da dove aveva chiamato i carabinieri.".-

Come si vede, un comportamento che avrebbe avuto una certa rilevanza anche se non fosse stato posto in essere da un giornalista.-

Queste trasmissioni – per quanto piacevoli da guardare - non devono avere il potere di "giudicare"[6] qualcuno, prima, e nel caso, in cui ciò avvenga nelle aule deputate, ma eventualmente solo di "informare" (a parere dello scrivente, neanche di indagare, anche se molte volte questi servizi sono la fonte primaria per l'apertura di indagini[7]).-

Di conseguenza, non è in discussione solo il metodo giornalistico in sè, ma anche le modalità con cui lo stesso viene posto in essere, in particolare quando si superi l'ardore giornalistico che ogni inviato deve possedere.-

Sotto il primo profilo, di fronte al rifiuto di parlare dell'intervistato, l'inviato – come "suggerito" nella pronuncia in esame - avrebbe dovuto "arrendersi" limitandosi a fornire "il silenzio" come notizia, senza porre in essere condotte ben al di fuori dalla volontà di stimolare delle risposte, magari anche per reazione.-

Sotto il secondo profilo, si riporta un passo motivazionale della sentenza CEDU 26.4.1979 (caso Sunday Times) "l'esercizio del diritto di cronaca (giudiziaria) non può tradursi nella celebrazione di "pseudo processi" che inducano la pubblica opinione a pervenire a conclusioni[8] sulla base di quanto viene diffuso dai mezzi di comunicazione di massa, " con il rischio ulteriore – peraltro- di una perdita di fiducia nell'autorità giudiziaria, in aggiunta alla violazione della presunzione di non colpevolezza degli accusati".-

In conclusione: bene il giornalismo, anche di un certo tipo, purchè rispetti quanto fin qui detto.-

NOTE

[1] Ma anche inseguimenti in macchina, per strada, in uffici.-

[2] Che, per verità, molte volte reagisce male, pronunciando offese (alcune volte diventate virali, come il "Capre, Capre, Capre" di Vittorio Sgarbi al "Trio Medusa") o addirittura ricorrendo alle mani, contro l'attrezzatura di ripresa o verso il giornalista: come dimenticare la "microfonata" dell'allora Direttore di Rai 1, Del Noce, all'inviato di Striscia la Notizia, Valerio Staffelli?

[3] Giornalista al momento dei fatti e fino al 2013.-

[4] La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna dei gradi di merito, nonostante, piccola curiosità giuridica, si sia arrivati a processo dopo che il Pm, durante le indagini, avesse richiesto l'archiviazione, rigettata dal Gip.-

[5] Cass. Penale n. 27984/2016.-

[6] Purtroppo, è anche capitato che qualcuno – che, per verità, sembrava davvero responsabile di comportamenti illeciti – si sia suicidato dopo un servizio dedicatogli e dalla vergona pubblica derivante, prima di essere, eventualmente, giudicato e condannato secondo legge.-

[7] Molte volte gli inviati di queste trasmissioni agiscono come dei veri e propri "agenti provocatori", infiltrandosi in situazioni di potenziale criminalità (spaccio, pedofilia, abusi sessuali, fra gli altri).-

[8] Ad esempio considerando l'indagato o l'imputato responsabile prima di una sentenza definitiva, in contrasto, anche, con quando disposto dalla Costituzione-.


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